Il principio fondamentale dei processi di integrazione si basa sull’idea di una scuola per tutti, in cui l’apprendimento in un ambiente ordinario, nella scuola di tutti, è stato affermato come un diritto che non deve essere negato a nessuno, nemmeno alle persone con disabilità anche gravi e complesse che si trovano in un processo formativo che non deve mai essere interrotto. La Sentenza della Corte costituzionale 215 del 3 giugno1987, che dopo 10 anni di integrazione e inclusione nella scuola dell’obbligo (legge 517/77) poi anche nella scuola materna (legge 270/82), apriva le porte della scuola secondaria superiore nelle classi ordinarie, in funzione dell’evoluzione normativa dell’inserimento degli alunni in situazione con disabilità nella scuola, dichiarava che “la partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dell’alunno, al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione. Insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica è dunque un essenziale fattore di recupero dell’alunno in situazione di disabilità e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità.”(de Anna, 1992a, p.211).
Tale apprendimento deve avvenire con i compagni e si deve costruire attraverso e con le persone in situazione di disabilità e/o con problemi speciali o con disturbi specifici di apprendimento e/o con bisogni educativi speciali.